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Trovare lavoro velocemente

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Stefano

Come rispondere a una delle domande più difficili al colloquio di lavoro

Maggio 6, 2021 by Stefano 9 commenti

Durante il colloquio di lavoro, una delle domande trabocchetto preferite dai reclutatori è il classico “ci descriva una sua debolezza.” Ormai sempre più comune.

La risposta non è semplice: se sei troppo sincero, rischi di farti lo sgambetto da solo e metterti in cattiva luce quando dovresti solo elogiare i tuoi punti di forza come in una pubblicità. D’altra parte, se menti spudoratamente o ancora peggio ti rifiuti di rispondere, il datore penserà che hai qualcosa da nascondere.

La buona notizia è che esiste un tipo di risposta per farti emergere da vincitore in questa domanda, la brutta è che non puoi improvvisarla: devi studiarla. Questo perché cammini su un filo molto sottile, e un errore anche piccolo ti farà cadere da una o dall’altra parte.

Quindi ti consigli di prendere questi consigli e studiarti una risposta oggi stesso, scrivila e memorizzala. Poi il giorno prima del colloquio, rileggila per rinfrescarti la memoria. Non è necessario memorizzare parola per parola (hai comunque più possibilità di variare rispetto al compilare un curriculum), ma la traccia da seguire deve essere ben impressa nella tua mente.

Ecco come rispondere alla domanda “ci parli di una sua debolezza” nel modo più efficace possibile durante il colloquio di lavoro.

1 – Scegli una debolezza irrilevante per il lavoro

Prima di andare a uno specifico colloquio, pensa a quale potrebbe essere una debolezza che non interessa al datore. Questa varia molto a seconda del tipo di lavoro che ti viene proposto: se voglio fare l’ingegnere, dire che non so bene la matematica non è una gran cosa. Ma se voglio fare il pittore, allora potrebbe essere una scelta più adatta.

Ancora meglio, cerca un tua caratteristica che potrebbe essere una debolezza in un contesto, ma un punto di forza per quel lavoro. Ad esempio, dire che sei molto puntiglioso e non ti piace fare le cose a metà per lavori di precisione (questa non usarla, sta diventando fin troppo comune e il datore potrebbe pensare che l’hai semplicemente copiata da qualche parte).

L’importante è non mentire, a parte per il motivo etico, perché mantenere una bugia sul lavoro è quasi impossibile. Prima o poi verrà a galla, spesso velocemente. A quel punto verrai licenziato, e avrai perso un sacco di tempo ed energie. Usa una tua debolezza vera, ma minore. Non vuoi dire che sei un cleptomane o roba del genere.

2 – Parla di come stai cercando di risolvere la tua debolezza

Il datore vuole vedere che stai lavorando per colmare la tua debolezza. Nessuno è perfetto, e mostrare un lato debole ti renderà più umano e permetterà al datore di identificarsi con te. Questo è uno strumento psicologico potente per creare empatia, importante per ottenere il lavoro soprattutto se non sei sulla carta la persona più appetibile che si è candidata.

Ma vuoi anche mostrare che non sei un lavativo, anzi cerchi sempre di migliorare la tua situazione. Per questo è importante far vedere al datore che stai lavorando per migliorare: questo è l’atteggiamento proattivo del quale ogni datore si innamora, e se usi le parole giuste puoi trasformare un punto di debolezza in uno di forza.

Ad esempio, se non sono bravo con la matematica, posso dire che sto leggendo semplici libri di algebra elementare per imparare anche solo le basi. Non ti serve dire che vuoi diventare il nuovo Stephen Hawking (suonerebbe falso), giusto che vuoi colmare le tue lacune. Questa semplice struttura dimostrerà la tua motivazione più della frase “sono una persona motivata” prestampata sul curriculum. Invece di dirlo, l’hai dimostrato.

Se però non hai ancora fatto niente, allora non mentire. Dì che stai pensando a un modo per migliorarti, e se puoi, spiega come. Non è potente come aver già fatto dei passi concreti, ma fa comunque la sua figura. Ma ti consiglio di prendere uno o due punti di debolezza che sai di avere, e iniziare a lavorare per limarli: non solo migliorerai come persona, ma avrai anche una storia pronta da raccontare al datore. Male che vada, ci hai comunque guadagnato.

Questo approccio funziona

Questo approccio in 2 fasi funziona veramente, e in 30 secondi avrai risposto a ogni dubbio del datore.

Scegliendo una debolezza secondaria e mettendo in mostra la tua risolutezza nel migliorare, hai appena fatto capire a chi ti fa il colloquio che sei una persona motivata e dinamica. Di solito questa domanda viene fatta per mettere in difficoltà i candidati, tu puoi usarla per uscirne ancora più forte di prima.

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3 modi di sfruttare Facebook per la ricerca del lavoro

Maggio 5, 2021 by Stefano 5 commenti

Per molti, Facebook è solo un modo di passare il tempo fra Fruit Ninja e video di gatti che suonano il piano. Ma può anche diventare la tua vetrina virtuale, che il datore consulterà prima di chiamarti sul colloquio. Questa è una fase importante, perché anche se il tuo curriculum ha fatto colpo, avere un profilo online scadente potrebbe convincere il reclutatore a non chiamarti.

Lo sai che molte aziende grosse una volta avevano uno staff per indagare sui loro dipendenti, mentre ora questa professione è molto rara? Quando intervistati sulla ragione, i datori hanno risposto: “non ne abbiamo più bisogno, ora tutte le informazioni che ci servono sono su Facebook.” Quindi non è solo un mito, i datori usano il social network come strumento di selezione. Ed è una pratica comune.

Nelle  ricerche per nome, Facebook si posiziona sempre in alto con Google. È un sito famoso ed è naturale che sia così. Viene battuto solo da Linkedin, e non sempre. Quindi ecco come massimizzare l’impatto che puoi ottenere quando un datore ti cerca su Facebook.

1 – Imposta la privacy su “pubblico”

In questo modo, chiunque potrà vedere cosa stai combinando su Facebook, anche chi non è tuo amico. Non è il massimo della privacy, ma dimostrerai al datore che non hai nulla da nascondere.

L’azienda moderna si sta sempre più spostando verso l’integrazione culturale, nel senso che i datori vogliono persone che si integrino bene nella già esistente cultura aziendale. Questo non è qualcosa che puoi comunicare sull’asettico curriculum, ma il datore lo può capire da ciò che metti sul tuo profilo Facebook.

2 – Resta sul personale personali

Facebook non è Linkedin, dove devi mantenere una certa professionalità tutto il tempo. Facebook è un social network personale, dove le persone che si conoscono interagiscono in modo amichevole.

Quindi non preoccuparti dei tuoi aggiornamenti, sii naturale, non devi mettere la foto del profilo in giacca e cravatta solo perché il datore potrebbe vederla. Risulteresti artificiale. Giusto evita di mettere le foto dell’ultima “sagra dell’ubriaco”, quelle sì che potrebbero dare dei dubbi al datore. Ma finché fai vedere che sei una persona che si diverte, creerai ancora più empatia con il datore (soprattutto se per puro caso mostri di avere hobby simili ai suoi).

Questo tipo di connessione è potente: una volta un datore mi ha concesso un colloquio perché ho lavorato negli Stati Uniti nello stesso ristorante dove ha mangiato. Non so se avrei avuto il colloquio lo stesso, di sicuro questa coincidenza ha aiutato.

3 – Inizia a postare aggiornamenti

Se la tua bacheca Facebook adesso non è il meglio, devi spingere in basso gli aggiornamenti di stato peggiori mettendone di nuovi. Un messaggio o più a settimana va bene, magari pubblicando un articolo preso da internet che parla della tua nicchia (o ancora meglio, un articolo tuo).

Un’altra strategia efficace è di entrare in gruppi e pagine inerenti al tuo settore lavorativo, e partecipare alle discussioni presenti. In questo modo, un eventuale datore potrà vedere che sei interessato all’argomento e non stai semplicemente cercando “giusto qualcosa per pagarmi l’affitto”.

Per arrotondare ancora di più le cose, crea un blog (lo puoi fare gratis su Blogger) e inizia a scrivere articoli sempre riguardo alla tua nicchia. Non ne servono tanti, anche un ogni due settimane, e metti i link su Facebook. In questo modo, sarà visto da ogni potenziale datore: è un sistema indiretto ma efficace di dimostrare la tua esperienza in qualcosa, con articoli mirati e competenti.

Questi sono i 3 consigli più importanti per trovare lavoro con Facebook. Non è lo strumento più efficace al mondo, ma visto che ormai quasi tutti ce l’hanno mi sembra giusto parlarne. E tu hai mai cercato lavoro su Facebook? Che risultati hai ottenuto? Fammelo sapere nei commenti! 🙂

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Intervista a Mariangela Tripaldi, coach del lavoro

Maggio 4, 2021 by Stefano 6 commenti

Ragazzi, oggi ho il grande piacere di intervistare Mariangela Tripaldi, psicologa e coach del lavoro, che gestisce il blog Coach Lavoro (che consiglio a tutti di leggere).

Durante l’intervista parliamo di questi argomenti:

  • Il mercato del lavoro italiano, e come trovare lavoro durante la crisi.
  • La differenza fra lavorare in proprio e da dipendente (e non è quello che ti aspetti).
  • L’investimento che puoi fare oggi per avere una carriera stupefacente nei prossimi 10 anni.
  • I falsi miti più dannosi ma diffusi che circolano su internet, quelle credenze sbagliate che ti fanno rimanere disoccupato.
  • Il modo migliore che ha un giovane di farsi assumere anche quando è senza esperienza.
  • Consigli pratici ed efficaci su come migliorare il tuo curriculum vitae da oggi.
  • Una tecnica efficace per fare sempre un figurone al colloquio di lavoro.

Bene, come vedi la scaletta è molto densa e interessante…

Quindi lascio la parola a Mariangela. 🙂

(Nota: questa è un’intervista di Novembre 2014, ripubblicata nel 2021. Questi consigli sono ancora ugualmente validi)

Ciao Mariangela e benvenuta. 🙂 Puoi parlarci un po’ di te, di quello che fai e della tua carriera?

Nasco come psicologa del lavoro, inizio facendo stage e tirocini all’interno di realtà multinazionali e nelle risorse umane. Qui ho la possibilità di vedere dall’interno com’è costituita un’azienda, come funziona, e come si svolgono i processi di selezione e assunzione.

Negli anni ho capito che uno strumento che avrebbe arricchito le mie competenze sarebbe stato il coaching, quindi ho iniziato a fare formazione con più professionisti per avere una formazione completa.

A un certo punto mi sono chiesta: adesso cosa faccio? Lì si sono unite le mie competenze di psicologia del lavoro, la mia conoscenza del mercato del lavoro e le mie capacità di coaching per offrire un servizio che sapevo non essere presente sul mercato, per aiutare le persone a fare due cose:

  1. Capire che strada intraprendere, quindi orientarsi all’interno delle varie possibilità di lavoro.

  2. Aiutare le persone nella ricerca del lavoro per massimizzare le loro possibilità di ottenere un’opportunità, o di crearsela in modo efficace e funzionale.

Parto nel 2009 con il mio sito Coach Lavoro, che in questi 5 anni è cresciuto insieme a me. Grazie allo studio ed esperienza con le persone si è arricchito di contenuti e si è avvicinato alle reali esigenze di chi cerca lavoro.

Le persone che si rivolgono a me sono varie: vanno dai giovani neolaureati fino agli over 50. Quindi o persone che partono ex novo, o persone che vogliono rinnovarsi perché non soddisfatte del loro ruolo, ma non sanno come valorizzare le loro competenze.

Un po’ come succede nel marketing, la difficoltà sta nel capire cosa differenzia e cosa dà il valore aggiunto. E se prima non lo capiamo noi, non possiamo comunicarlo efficacemente al datore.

Secondo te in Italia, oggi, è ancora possibile trovare un lavoro qualificante e ben pagato?

Bella domanda… Io direi, perché non dovrebbe essere possibile?

E ancora, c’è qualcuno che ce l’ha?

Se c’è anche solo una persona che ha un buon lavoro, allora è possibile. La risposta quindi è sì, e se non lo trovi lo crei. Io sono di questo avviso.

Questa è una mia convinzione: non credo che possiamo essere tutti imprenditori. Non è detto che tutti abbiano queste attitudini, non è detto che tutti abbiano quell’idea innovativa. Dall’altra parte, la maggior parte delle persone sottostimano le loro capacità, si fanno prendere dalle paure e si bloccano ancora prima di cominciare.

Anche se non voglio propormi come imprenditore, è fondamentale in questo periodo avere l’atteggiamento dell’imprenditoria e auto-proporsi sul mercato.

Quindi anche se non apro la mia attività, cosa che sarebbe consigliabile in questo momento perché il mercato si sta staccando dalle classiche forme di collaborazione fissa e strutturata, quando cerco lavoro devo pensarmi come imprenditore di me stesso.

Quindi hai una visione positiva sul lavoro da autonomo?

Assolutamente sì, ma attenzione. Sia il lavoro da autonomo che imprenditoriale ha due rischi: il primo è quello dell’esaltazione, ossia aprire un’azienda senza un’analisi di mercato e della fattibilità; il secondo è un blocco perché credo di non avere le competenze.

Quindi bisogna fare un po’ un lavoro di ricerca, per capire se è qualcosa per la quale ho le competenze. E il mio lavoro è anche aiutare le persone a farsi un’idea corretta delle loro possibilità imprenditoriali.

Se si prende consapevolezza di non avere le attitudini e le motivazioni per fare l’imprenditore o il freelance, nulla di grave! ci sono altre opportunità a cui puntare! Pensa a quanti imprenditori e professionisti hanno bisogno di validi e fidati collaboratori dipendenti.

A questo punto però non significa essere condannati a vita, anzi, imprenditori e professionisti hanno bisogno di validi e fidati collaboratori dipendenti: non dobbiamo per forza essere tutti freelance.

In entrambi i casi, sia che tu voglia avviare un’attività che essere assunto, devi avere un’atteggiamento imprenditoriale di promuoverti e renderti visibile senza aspettare la risposta agli annunci per ottenere il risultato sperato: non basta, e non conviene concentrarsi solo su questo.

È il famoso “marketing di sé stessi”, o “personal branding”. Devi capire chi sei, cosa puoi offrire sul mercato del lavoro, che immagine vuoi dare di te e comunicarla efficacemente. Bisogna rendersi visibili utilizzando tutto ciò che le reti offline e online ci consentono massimizzandole il più possibile, per farci intercettare dalle possibilità.

Se capisci di poter offrire un valore come collaboratore dell’imprenditore, sei in una posizione fantastica. Serviranno sempre i dipendenti validi.

Trovare lavoro come dipendente o crearselo come professionista non è alla fine molto diverso. Io mi diverto spesso con i clienti che mi chiamano e hanno un lavoro nell’ambito vendite o marketing, perché di solito dopo che mi faccio descrivere cosa fanno per la loro attività lo confronto con quello che stanno facendo per cercare lavoro.

È immediato capire come seguono due processi completamente diversi, seguendo logiche opposte. Facendoli ragionare un attimo capiscono che devono pensarsi come un’azienda che sta cercando clienti, non come un cercatore che risponde semplicemente a ogni annuncio o va all’agenzia del lavoro di turno.

La logica è la stessa: come tu vai a cercare nuovi clienti, come ti proponi e come li convinci, è molto simile a come potersi proporre e promuovere per il lavoro.

Il problema è che non è facile, perché quando si tratta di vendere sé stessi entrano in gioco tutti i fattori psicologici.

Come pensi che si sia evoluto il mercato del lavoro negli ultimi 10 anni in Italia?

Non è facile dare una risposta a questa domanda, anche se ci sono all’interno. I dati ufficiali possono dirci solo una minima parte di quello che succede di fatto.

In questi ultimi 5 anni abbiamo vissuto un momento di forte crisi in cui le aziende hanno ben pensato di ristrutturarsi e snellire le loro strutture, appoggiandosi sull’outsourcing (dare ad aziende esterne alcuni compiti secondari). Sono rimaste penalizzate le figure manageriali, i vertici hanno subito un bel po’ di rivoluzioni, mentre invece gli impiegati e i quadri hanno retto un po’ di più.

Il mercato sta cercando sempre di più figure specializzate, quindi ci sono o lavori di bassissima manovalanza (come l’addetta alle pulizie o panettiere), o figure specializzate sia nel ruolo che nel settore. Questo complica in Italia il passaggio da un ruolo all’altro e da un mercato all’altro.

È possibile possibile fare dei passaggi, ma bisogna avere consapevolezza che non sarà semplice: bisogna valorizzare le proprie caratteristiche che ci rendono appetibili per il nuovo settore. Altra cosa che bisogna fare è cercare di costruirsi un percorso graduale, di ragionare in un’ottica strategica e fare delle tappe per raggiungere il proprio obiettivo lavorativo.

Le aziende cercano più figure specializzate ma che abbiano tutte quelle competenze trasversali come la capacità di lavorare in gruppo o con clienti stranieri (quindi conoscenza delle lingue), utilizzo dei media… Quindi il mercato richiede questo mix di competenze verticali (la propria specializzazione) e trasversali (come inglese o informatica), e personali (iniziativa, capacità di relazione, ecc).

Questo chiaramente rende il tutto più complesso, perché se ci si specializza si possono perdere le competenze trasversali. D’altro canto se si resta troppo su figure generiche con scarse competenze tecniche, si diventa meno appetibili sul mercato.

Come pensi che si evolverà il mercato nei prossimi 10 anni?

I dati dicono che in Italia e nel mondi ci sarà sempre spazio per figure commerciali, questa è la figura che non morirà mai perché l’azienda deve piazzare i prodotti sul mercato. Insieme a questo ci sarà una crescita digitale sia di creazione di prodotti che di marketing online.

Poi ci si aspetta anche in Italia una crescita del settore green, che va dall’agricoltura al bio, fino all’energia pulita. Cresceranno anche le figure sanitarie, come quelle di assistenza alla persone. A partire dai medici, fino all’assistenza sociale. Questo perché sta crescendo l’età media della popolazione, e ci sarà sempre più bisogno dell’assistenza medica.

Altri settori che cresceranno saranno quelli della sicurezza informatica e informatica in generale, nel quale l’Italia sta cercando di recuperare rispetto al resto d’Europa, e la stampa 3D. Di contro subiranno una contrazione i settori che riguardano la carta stampata (come il postino), e gli operai generici che verranno sostituiti dalle macchine.

Su internet è pieno di consigli sulla ricerca del lavoro. Quali pensi che siano le false credenze più diffuse?

Il primo è pensare che curriculum e lettera di presentazione siano gli unici strumenti per cercare lavoro.

Che per carità, sono fondamentali perché permettono di ottimizzare la propria candidatura. Ma il curriculum non è uno strumento di assunzione, bensì di scarto: l’obiettivo è per le aziende quello di scartare i candidati palesemente non adatti in poco tempo grazie al CV.

Spesso ci si concentra solo su questo, in realtà nel curriculum bisogna anche sapersi valorizzare e mettere in evidenza quello che è importante per il datore. In questo senso a volte il rischio è di voler mettere tutto nel curriculum invece che pensare all’interlocutore e quello che cerca.

Io con i miei clienti lavoro per creare un curriculum personalizzato non dico per ogni annuncio, ma quanto meno per ciascun tipo di posizione diversa.

Si crede ancora nel curriculum europeo standardizzato, probabilmente perché c’è ancora qualcuno che lo chiede, però dobbiamo capire che il 90% dei selezionatori non lo apprezza perché è troppo lungo e non riesce a far capire le peculiarità della persona. Ci sarà sempre un 10% che lo cerca, però è una minoranza.

Un altro falso mito è credere che l’unico modo per essere assunti sia tramite agenzia o headhunter. Oggi ad esempio mi hanno chiesto: “ma sei tu una headhunter o ne conosci qualcuno?” Quindi si pensa di rivolgersi agli intermediari.

Che per carità, è un canale, però non ti puoi concentrare solo su questo e anzi è controproducente: diventa un imbuto dal quale non si esce. Perché tutti rispondono agli annunci, tutti cercano gli headhunter, e abbiamo meno possibilità di farci notare se facciamo tutti la stessa cosa. Invece la logica è quella di monitorare anche gli annunci, ma senza focalizzarsi solo su quello.

Ci sono molte persone che hanno perso ogni speranza, e non ne cercano più lavoro. Questo crea una spirale di frustrazione: prima inizio a selezionare gli annunci e curare le candidaature, vedendo che questo non ha riscontro mollo la presa e inizio a non curare più così tanto la presentazione e aprirmi a qualunque tipo di lavoro (che è una china pericolosa).

Visto che questo chiaramente non porta risultati mi deprimo e penso a cose come:

  • Non c’è più nessun lavoro.

  • Vengono assunti solo i raccomandati.

  • Ci sono solo annunci falsi.

  • Lascio perdere e non mi sforzo neppure.

Questo per i giovani porta ai così detti NEET (Not in Educatio, Employment, Training – Non a scuola, né al lavoro, né in formazione), persone che non cercano lavoro e non fanno formazione (quindi non fanno nulla). La strada da seguire è invece quella di cambiare l’approccio di cercare lavoro, definire un target e seguirlo pedissequamente.

Un’altra credenza è pensare che l’autocandidatura sia inutile. Le persone credono che chi cerca dipendenti metta l’annuncio, e se mi autocandido ho fatto un buco nell’acqua. Che è in parte vero: se non studi prima che cosa offrire e cosa offrirgli, stai lanciando una bottiglia con un messaggio nell’oceano. Se fai un’attività mirata e contatti aziende e società come potenziali partner, e cerchi un contatto diretto con loro, hai molte più possibilità che passando attraverso a un intermediario o aspettando che arrivi l’annuncio.

Come con gli obiettivi, si sovrastima quello che si può fare nel breve periodo (rispondere ad annunci di lavoro), ma si sottostima quello che si può fare nel lungo periodo (creando e coltivando contatti). Ci vuole un po’ più di tempo, ma dà sicuramente molti più risultati e soddisfazioni.

Oggi, qual è il miglior modo che ha un giovane di trovare un buon lavoro?

Dopo aver identificato quello che voglio e posso offrire sul mercato, i prossimi passi sono:

  1. Andarsi a proporre direttamente.

  2. Farsi notare (proporre contenuti di qualità nella propria specializzazione) attraverso Linkedin o un blog.

  3. Sfruttare tutta la rete di contatti indiretti e diretti per ampliare la propria rete.

  4. Non stare chiusi in casa di fronte al computer, ma frequentare persone e creare relazioni, perché è da qui che nascono le opportunità più frequenti.

Nei sondaggi che ho fatto, la maggior parte delle persone hanno trovato lavoro per passaparola, ma si crede che questo sia un sistema non replicabile. Invece va semplicemente ampliata la rete e va messo contenuto nel telefono senza fili.

Un buon punto per iniziare a mettersi in contatto con le aziende sono le fiere del lavoro (come quelle organizzate dall’università), ma ce ne sono molti altri. Dal web ai convegni: muoversi e attivarsi per creare contatti che si possono sfruttare in seguito.

Io credo molto nella propria attivazione, nel networking e nel potere delle relazioni e dei contatti. Il networking è di gran lunga il modo migliore di trovare lavoro, ma non sappiamo come farlo: devo chiamare tutti i miei amici e conoscenti e dire che sto cercando un lavoro? È chiaro che non è questo il modo. Invece coltivare contatti, dire quello che si è fatto in passato e proporsi con un obiettivo, ci aiuta.

Chiaramente se mi presento come dipendente generico il networking non funzionerà mai. Un conto è dire “sto cercando lavoro ma non trovo nulla, mi potete assumere?” e un altro è dire “sono esperto in X e mi occupo di Y”. Si fa un impatto diverso e si resta impressi, il datore si ricorderà di te quando avrà bisogno di una figura professionale come la tua.

Molti ormai hanno demistificato il curriculum, e lo capisco perché usato come strumento unico è pressoché inutile. Ma iviarlo dopo aver conosciuto una persona avrà un impatto diverso rispetto al mandare un curriculum anonimo e standard che non dice niente e viene sicuramente cestinato.

Quali sono i 3 aspetti più importanti di un curriculum?

Una sezione poco conosciuta è quella in cui si fa un riassunto del proprio profilo professionale. È un biglietto da visita nel quale dai subito una definizione di chi sei e quello che fai. Quindi dare subito una definizione più o meno specifica, ed è fondamentale.

Seconda cosa, inserire dove possibile (anche gli studenti) delle informazioni non tanto sul numero di esami sostenuti o l’elenco dei crediti, quanto sui progetti portati a termine durante la propria esperienza. Un progetto può dare informazioni maggiori rispetto a un banale elenco di esami o di attività generiche.

Per i giovani può essere interessante anche evidenziare i propri hobby e passioni, dando delle informazioni in più. Ad esempio: “frequento un circolo di lettori, vado in bici per 4 ore tutte le settimane”, perché dà informazioni maggiori sulla persona.

Se potessi dare un solo consiglio a qualcuno che sta per fare un colloquio di lavoro, quale sarebbe?

Pensare con la testa dell’intervistatore.

Molto spesso si va in ansia perché si pensa alla propria performance e ci si sente sotto giudizio, come se fosse un esame. Invece cambia la prospettiva se ci mettiamo nei panni del selezionatore, e cerchiamo di capire ciò che quella persona vuole. In questo modo le nostre risposte saranno mirate a quello, perché fra la miriade di informazioni che possiamo fornire dobbiamo capire quelle che servono a chi ci sta intervistando.

Ovviamente non è facile, ma se apriamo bene le orecchie, già dalle domande (o dal bando di lavoro) possiamo capire che cosa può essere utile all’azienda che ci sta cercando.

Mariangela, grazie delle preziose informazioni. Hai qualche commento finale?

Io non sarò mai una di quelle che dice che cerca lavoro è facile se sai come farlo: cercare lavoro è complesso, e ci mette in gioco soprattutto in questo periodo. Sia perché c’è molta concorrenza, sia perché il mercato del lavoro è molto ostico e richiede resilienza e perseveranza.

Però non è neanche impossibile. Quindi sfruttiamo questo momento per potenziare i nostri punti forti, per riconoscerli a noi stessi e darsi una botta di autostima, e lavorare sui nostri punti deboli e difficoltà nel presentarci e venderci.

Per trovarmi potete andare sul sito Coachlavoro.com, leggere tutti gli articoli (sono più di 200), le 2 guide sul curriculum e sulla lettera di presentazione scaricabili gratuitamente. E se vuoi, puoi sfruttare i servizi di coaching e consulenza che offro tramite il sito.

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3 parole vietate in un curriculum

Maggio 2, 2021 by Stefano 8 commenti

Quando molte persone scrivono il loro curriculum, la domanda principale che si fanno è: cosa ci scrivo?

Ma una domanda forse ancora più importante, che però viene spesso ignorata, è: cosa NON ci scrivo?

Mancare questa importante domanda significa spedire un curriculum pieno di elementi inutili o addirittura dannosi, che fanno rabbrividire ogni datore. Soprattutto quando un reclutatore ha visto 50-100 curriculum (abbastanza comune al giorno d’oggi), comincia a infastidirsi non poco quando legge certe cose. Arriva al punto che, appena legge una di queste cinque parole vietate, prende e butta il curriculum nel cestino.

Seguendo il principio che “un curriculum è perfetto non quando non c’è altro da aggiungere ma quando non c’è altro da togliere”, ecco 3 parole che dovresti evitare come la peste nel tuo curriculum.

1 – Curriculum

Non ci vuole una laurea per distinguere un curriculum da un documento qualsiasi, quindi questa informazione è ridondante (ossia inutile).

In molti modelli (come quello europeo) campeggia in alto la scritta “Curriculum Vitae” che è più grande di tutto il resto. Ora, questo ha diversi effetti negativi:

  • Ogni spazio sul CV è prezioso, e non dovresti mai sprecarlo per dire cose inutili.
  • Ti rende uguale a tutti gli altri.

Il secondo punto ha bisogno di qualche parola in più.

Una delle tue maggiori priorità quando scrivi un curriculum, è di differenziarti. Se sei uguale a tutti gli altri, non verrai mai notato. Negli Stati Uniti, dove la competizione è ancora maggiore che da noi, ormai molti headhunter consigliano ai loro clienti di non usare mai un curriculum tradizionale in carta (ne parlerò in un prossimo articolo).

Qui in Italia non siamo ancora arrivati a questo punto, ma un tocco di differenziazione non farà che bene alle tue possibilità essere richiamato.

Il primo passo è scrivere il tuo nome in maiuscolo, grassetto, centrato, bello grosso in testa al curriculum. Non serve spiegare l’ovvio, il datore non è scemo (spesso).

2 – Dinamico

Questa è la preferita dei giovani, che si definiscono “dinamici”, ma ce ne sono anche altre quali:

  • Teamwork
  • Lavorare in gruppo
  • Motivato (un altro classico)

E tanti altri.

Il datore traduce automaticamente tutte queste parole con: “non ho idea di cose scrivere e sto riempiendo questo spazio di stupidate.”

Fai questo semplice esercizio: raccogli i curriculum di amici ed ex colleghi, e confrontali. Segnati le parole che ricorrono su tutti i modelli, ed evitale.

Al loro posto, usa delle formule uniche, personali e specifiche. Devi distinguerti come persona, non essere uno dei tanti: è l’unico modo per sperare che il datore si ricordi di te. Ti ho già parlato della differenziazione sopra, questo è un altro modo per sottolineare come tu sia unico: non scrivere frasi fatte e generiche, quelle che usano tutti.

Se tutti fanno qualcosa, non significa che sia la scelta migliore. Anzi spesso, quando si parla di compilare un curriculum, quello che fa la maggioranza delle persone è sbagliato.

Essere unico nel tuo modello è più difficile che scrivere le solite cose, lo so. Ma è qui che si vede la differenza fra un candidato motivato (che verrà notato dal datore) e uno svogliato (che verrà sempre ignorato). Il tuo primo curriculum sarà con tutta probabilità una schifezza, è normale. Continua a riscriverlo: al quinto tentativo (ripartendo da zero ogni volta), avrai qualcosa di decente. A quel punto, puoi limare ogni frase.

Compilare un curriculum originale può prendere dei giorni interi di lavoro, ma ne vale la pena: è il tuo biglietto da visita.

3 – Hotmail

O Libero, o Alice.

Io sono un informatico, quindi non posso non notare l’indirizzo email di chi mi inoltra il suo curriculum. Anzi, è una delle prime cose che guardo per valutare se chi mi scrive ha speso almeno 30 secondi per presentarsi in maniera professionale.

Va da sé che il tuo indirizzo email debba includere il tuo nome e cognome in maniera più professionale possibile, non nickname. Mi pareva una cosa scontata, ma ho visto così tanti “calciatore89”  che mi sono ricreduto.

Già che ci sei, quando fai un account email per il lavoro usa Gmail. È l’unico provider serio gratuito, e un reclutatore che ne sa qualcosa di informatica apprezzerà. Creare un nuovo indirizzo di posta ti prende pochi secondi, e lo puoi collegare al tuo account Google già esistente.

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4 intelligenti modi alternativi di fare esperienza lavorativa

Maggio 1, 2021 by Stefano 6 commenti

Un’altra domanda classica che mi viene fatta via email è: Stefano, non ho esperienza lavorativa, cosa scrivo nel curriculum?

Sembra un dilemma impossibile: per trovare lavoro serve esperienza, ma per fare esperienza serve un lavoro.

Per questo hai continuato a girare in tondo, cercando qualsiasi tipo lavoro temporaneo e mal pagato che ti dia l’esperienza che ti serve per trovare un’occupazione migliore e definitiva. Ma passano le settimane, passano i mesi, e la tua situazione non migliora.

Ti riconosci in queste parole? Se sì, allora ti piacerà sapere che…

Per fare esperienza lavorativa non ti serve lavorare.

Esatto.

È uno dei trucchi che spiego in Obiettivo Lavoro, ed è una delle (tante) strategie che ti renderanno unico agli occhi del datore.

Perché essere unico, al giorno d’oggi, è l’unico modo di essere notato dai radar dei reclutatori italiani. Ormai hanno sulla scrivania così tante candidature, che se fai le stesse cose degli altri non ti noteranno di striscio. Quindi ecco 4 alternative all’esperienza lavorativa classica, che faranno brillare di luce propria il tuo curriculum.

Ma prima…

Perché l’esperienza lavorativa è importante?

L’esperienza lavorativa è la cosa più importante che salta all’attenzione del reclutatore, sempre. Anche nei lavori per giovani, dove l’esperienza gioca un ruolo inferiore rispetto che nella dirigenza di grosse aziende, il candidato più esperto ha più possibilità. Non dico che per un giovane senza esperienza sia impossibile essere assunto (anzi è piuttosto facile, con le giuste tecniche), ma richiede uno sforzo in più.

Il datore è così fissato dall’esperienza lavorativa per due ragioni. La prima è un effetto psicologico che lo spinge ad imitare i suoi simili (ossia altre aziende): “Se questa persona è stata assunta da qualche altra parte significa che un datore si è già fidato di lui, quindi mi posso fidare anch’io”.

L’altro incentivo all’assunzione della persona esperta è il fatto che, appunto, ha esperienza. L’azienda non deve spendere tempo e risorse per insegnare al nuovo dipendente tutto da zero, ma può subito buttarlo nel processo produttivo. Con le 4 strategie che adesso ti descrivo, andiamo ad agire su questo secondo aspetto: dimostrare al datore che sai già il fatto tuo, anche se non hai mai lavorato nel senso tradizionale del termine.

1 – Servizio civile

Grazie al servizio civile (in Italia o all’estero), hai una comoda possibilità di fare 1 anno di esperienza. La paga non è granché (poco più di 400 euro al mese), ma nemmeno il carico di lavoro: dalle 24 alle 36 ore a settimana.

Ci sono bandi nazionali, regionali o privati, e puoi saperne di più sul sito ufficiale. L’età va dai 18 ai 28 anni, ma alcuni bandi regionali arrivano fino a 30 anni.

Ora, una volta tornato dal servizio civile, dovrai fare una piccola astuzia sul tuo curriculum per massimizzare l’esperienza lavorativa che hai fatto.

Scrivere “servizio civile” sul tuo CV no, non va bene. Troppo banale, troppo generico, troppo scontato. Al datore non gliene frega niente di cos’hai fatto, ma solo di come puoi aiutarlo a guadagnare o risparmiare soldi. Per questo devi scrivere qualcosa di specifico, ad esempio “Ho lavorato come cuoco e cameriere in una mensa con 200 posti a sedere”.

Va da sé che devi candidarti per posizioni inerenti al lavoro che hai fatto nel servizio civile, se vuoi che questa tua esperienza venga valutata al massimo. Nell’esempio, scriverai il curriculum per lavorare in un ristorante.

2 – Servizio Volontario Europeo

Il Servizio Volontario Europeo, o SVE, è un progetto dell’Unione Europea della durata di 3-12 mesi finalizzato a far viaggiare i giovani comunitari in uno stato estero e rafforzare l’idea di un’Europa unita.

Che ti piacciano o no i principi dello SVE, è un’opportunità difficilmente superabile per i giovani che sanno un’altra lingua (specialmente inglese): non solo farai esperienza lavorativa, non solo la farai all’estero (molto ben visto dai datori italiani), ma l’Unione Europea sarà così gentile da stipendiarti per il tuo lavoro part time. Anche qui le cifre non sono esorbitanti, ma se sai fare la formichina tornerai a casa con qualche soldo in più di quando eri partito.

La cosa migliore dello SVE è che ci sono una quantità immonda di bandi e relativamente pochi partecipanti, quindi ci metterai al massimo un paio di mesi a trovare qualcosa di tuo gradimento.

Lo SVE si organizza tramite delle associazioni private, che sono incaricate dall’UE di distribuire i fondi comunitari ai giovani che prendono parte ai progetti. Non c’è un’autorità centrale a controllare il tutto, quindi l’esperienza può variare da un’associazione all’altra. Io ho fatto il “fratello minore” dello SVE (lo Scambio Interculturale) e mi sono sempre trovato bene, quindi se non hai un lavoro al momento, te lo consiglio.

Qui valgono le stesse regole del servizio civile: scrivi sul curriculum quello che hai fatto ricordandoti di specificare come questo può essere utile al datore, non mettere un asettico “servizio volontario europeo”.

Il sito più importante che raccoglie tutti i bandi di (quasi) tutte le associazioni è Scambi Europei, e la pagina Facebook dell’Associazione Strauss pubblica ogni tanto bandi interessanti. Questo è un sistema economico, veloce ed efficace per fare esperienza lavorativa.

3 – Studio e pratica da autodidatta

Questo è il mio preferito, perché sono un pigro. 😀

Grazie allo studio da autodidatta, puoi accumulare esperienza lavorativa stando a casa in pigiama.

Esperienza lavorativa è un termine che viene frainteso spesso per colpa della parola “lavorativa”, che non c’entra niente. Esperienza lavorativa significa semplicemente essere esperto a fare qualcosa, ossia averlo fatto in passato. Anche se non l’hai fatto in un lavoro tradizionale, poco conta. Basta che tu quella cosa la sappia fare.

Ancora meglio, spesso l’esperienza lavorativa può essere sostituita da un titolo di studio importante, come una laurea in un’università prestigiosa. Ma c’è anche un’altra via più semplice ed economica…

Grazie all’invenzione più importante della storia dell’uomo dai tempi della rivoluzione industriale, ossia il computer, hai accesso alla più grande banca dati di sempre. Gratis. E no, non sto parlando di Wikipedia.

Se ti interessano le materie scientifiche, puoi avere un’istruzione a livello universitario gratis o a prezzi ridicoli. In pochi sfruttano questa opportunità per due motivi:

  1. Non la conoscono
  2. Non pensano sia importante

Ora ti chiedo: se hai studiato qualcosa da autodidatta a un livello pari a quello di un’università, perché non dovresti darne notizia sul tuo curriculum come se fosse una laurea? Magari non ha lo stesso impatto, ma ti sei differenziato: non sei un altro laureato qualsiasi, ma un giovane con la forza di volontà per imparare una nuova competenze ad altissimo livello. Qualunque datore ne sarà impressionato.

Puoi iniziare con una ricerca su Google, ma per farla più semplice, ti consiglio di partire da queste 5 fenomenali risorse gratuite.

4 – Studio all’estero

Puoi studiare a casa, o puoi studiare all’estero. Ormai la laurea classica, per quanto resta un investimento fantastico se ne hai la possibilità e la voglia (più che altro la voglia, visto che con i finanziamenti statali ci sono un sacco di agevolazioni per i redditi più bassi), è inflazionata: le università sfornano laureati a milioni, e non è una cosa così esclusiva come una vota. Adesso anche se ti fai un’istruzione superiore, non è tutto in discesa.

Sorprendi il datore dicendo che hai studiato per uno o due anni all’estero e ti sei laureato oltre i confini italici: impatto garantito.

Se già sei all’università, Erasmus e laurea all’estero sono progetti europei presenti in molte università: controlla dalla tua segreteria, o all’ufficio affari internazionali se ne hai uno. Grazie alle borse di studio, puoi andare all’estero anche se non hai un grande capitale su cui fare affidamento. Inoltre molti Paesi stranieri hanno università internazionali di alto livello gratuite (come la Germania o la Polonia), quindi se sai l’inglese puoi iscriverti direttamente a un’università estera.

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Perché la tua mentalità è fondamentale per trovare lavoro

Aprile 30, 2021 by Stefano 5 commenti

Ieri mi è arrivata un’email uguale a centinaia di altre che ho ricevuto negli ultimi mesi. Il mittente mi chiedeva, disperato, cosa avrebbe dovuto fare per trovare lavoro anche se non aveva una laurea e solo un diploma di liceo scientifico con un voto discreto ma non eccellente.

Continuano ad arrivarmi altre domande simili, persone che si preoccupano non degli studi poco approfonditi ma di cose tipo:

  • L’età (troppo giovane o troppo vecchio).
  • I “buchi” lavorativi, ossia un lungo periodo passato senza lavorare.
  • La mancanza di esperienza pratica e/o specifica.
  • Il “vagabondaggio lavorativo”, ossia continuare a saltare da un lavoro all’altro senza soluzione di continuità.
  • L’assenza di una specializzazione.

A te, che continui a sudare freddo su un particolare aspetto del tuo curriculum, ti dico: tranquillo, non c’è niente di male. Quando ti proponi per un lavoro, anche tutti gli altri candidati hanno le tue stesse preoccupazioni. Il curriculum perfetto non esiste. Ma puoi fare una piccola modifica che renderà la tua ricerca più veloce e fruttuosa.

La giusta mentalità è fondamentale

Ed è la cosa più difficile da insegnare.

Nessuno ha un curriculum perfetto, ma chi decide di concentrarsi sui suoi punti di forza invece che su quelli di debolezza, trova lavoro. La tua motivazione, la tua forza di volontà che ti fa credere in te stesso, è più importante di quanto credi. E adesso ti spiego il perché.

Prova a pensare a questo: se tu non credi in te stesso e pensi di essere inadeguato per una data posizione, anche il datore penserà che sei inadeguato per il lavoro che cerca. Quindi non ti assumerà. I reclutatori non sono stupidi, ci mettono mezzo secondo per capire se la persona della quale stanno leggendo il curriculum è motivata o no. Il motivo sta nell’inconscio.

Quando scrivi un curriculum, se sei demotivato e hai paura che le tue lacune non ti rendano adatto al ruolo, inconsciamente ne compilerai uno che comunica questa emozione. Penserai: “Tanto non sono capace e non verrò assunto, quindi che mi impegno a fare?” Compilerai un curriculum velocemente e senza ispirazione, che non ha possibilità di attirare l’attenzione del datore.

Cose come:

  • La scelta delle parole
  • La lunghezza
  • Il focus principale
  • L’elevator pitch (se usi il mio modello sai di cosa parlo)

Sempre a livello inconscio, il datore avrà la sensazione che non sei una persona a cui dovrebbe concedere il colloquio. Risultato: non ti richiamerà.

A parità di altre condizioni, una persona che crede in sé e nelle sue capacità scriverà un curriculum più persuasivo, sceglierà delle parole più ottimiste e si focalizzerà più sui suoi pregi che sui difetti. Il datore se ne accorgerà, e lo richiamerà. In altre parole: se sei convinto che sarai richiamato, hai molte più possibilità di essere richiamato.

Nella PNL questo fenomeno si chiama “profezia auto-avverante”, e ne ho già parlato in questo articolo. Lo so che suona molto new age, ma ci sono decenni di studi scientifici che lo dimostrano. Io di curriculum ne ho letti molti e, anche se ho l’empatia di una pietra pomice, questa palese differenza salta subito all’occhio.

Te lo ripeto, avviene tutto a livello inconscio: tu non ti accorgi di niente, ma il datore baserà la sua decisione su questo dettaglio.

Per capire meglio, fai un esperimento. Prendi due poesie o testi: una triste (tipo molte di Ungaretti) e una felice (come queste). Se leggi la prima, ti sentirai un po’ più triste anche tu. Viceversa, con quella felice, ti sentirai più felice. Lo stato d’animo dell’autore influenza quello del lettore, e questo succede anche nel curriculum.

Come migliorare la tua mentalità e appetibilità per il datore

Anzitutto devi capire che le tue lacune nel curriculum sono meno importanti di quello che pensi.

Quando ci preoccupiamo, tendiamo a ingigantire i problemi. Diventano delle fobie. Quando la posta in gioco è così alta come quando cerchi un lavoro, perdi il focus su quello che è realmente importante e perdi tempo su dettagli insignificanti.

Uno di questi dettagli è, appunto, i presunti difetti del tuo curriculum. No, non è perfetto e non lo sarà mai. Nessun curriculum sarà mai perfetto e non ci puoi fare niente. Puoi migliorarlo, ma fino a un certo punto.

Piuttosto che stare su queste piccolezze, pensa a quello che puoi fare realmente adesso per essere più appetibile al datore. Quello che continuo a notare è che se ti presenti nel modo giusto, e fai leva sui tuoi punti di forza, al datore non importa se non sei perfetto. Se vai sicuro di te, il datore sarà influenzato a pensare che può fidarsi (è un sottile trucco psicologico).

Ricorda che il datore ti conosce per la prima volta dal tuo curriculum, e in seguito al colloquio di lavoro. Ti valuterà in base all’impressione che fai, e deciderà il tuo futuro in azienda. È tuo compito presentarti nel modo migliore possibile, “farti pubblicità” come si deve. Devi essere il venditore di te stesso.

Il modo più semplice per “vendere” te stesso in modo efficace e naturale è credere nelle tue capacità. Non c’è storia: se assumi una mentalità perdente, sarai un perdente. Se non credi in te stesso, nemmeno il datore crederà in te. Quindi se non l’hai già fatto, prendi un foglio e scrivi i tuoi punti di forza: quello che sai fare meglio di ogni altra cosa, quello in cui sai di essere un esperto, i risultati più eclatanti che hai ottenuto sia nella sfera privata che in quella personale. Vantati a più non posso.

Già solo fare questo esercizio ti farà sentire meglio, perché sposterà il tuo focus dai tuoi fallimenti ai tuoi successi. È una tecnica di PNL potente. Il tuo curriculum deve ruotare intorno a questo foglio, il “foglio dei successi”. Tutto quello che devi fare è impaginarlo bene, mettere i dati anagrafici, ed ecco la tua prima bozza di curriculum. Il tuo curriculum deve ruotare intorno ai tuoi punti di forza, a prescindere dal modello che usi.

Stampa questa frase e incorniciala, perché è una tecnica che non leggi da nessuna parte in giro: il tuo curriculum deve ruotare intorno ai tuoi punti di forza. Tutto il resto viene dopo.

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